Metalitalia recensisce HTTK

Le recensioni stanno spuntando ovunque in merito al cd in prossima uscita.
Ma oggi “giochiamo” in casa e condividiamo con voi la recensione di Metalitalia in merito:

Agli Avenged Sevenfold piace far parlare di sè. Con il magnetismo e il carisma propri dei grandi, il gruppo è consapevole di avere i fari puntati addosso dopo la grande attesa successiva a “Nightmare”. Cominciamo col dire che le dichiarazioni pre-release sono state mantenute (quasi) tutte: questo disco è lontano dai suoi predecessori, è totalmente devoto al metal classico e sconvolgerà molti dei fan storici della band. Non per questo “Hail To The King” è lontano dalla più sincera anima dei californiani: lo shock che per molti risulterà inaccettabile è l’abbandono delle costruzioni articolate, della tecnica e del virtuosismo strumentale, della velocità, della varietà dei riff e di quell’arroganza sopra le righe assunta per attirare l’attenzione dell’universo heavy. La title-track rappresenta molto bene l’andamento del disco, nella ricerca ossessiva di una formula sobria e memorizzabile, rifinita, smussata e ripetibile all’infinito. Tenendo le opportune distanze, possiamo dire che se gli Avenged Sevenfold in passato incorporavano elementi di classic, oggi hanno livellato la loro formula a quella struttura più asciutta ed evocativa, con un’evoluzione simile a quella che ha visto i Metallica mutare tra “…And Justice For All” e il famigerato “Black Album”. Shadows e soci sacrificano proprio all’altare dei Four Horsemen la potente e cadenzata “This Means War” e fanno lo stesso dedicando ai Guns’n’Roses l’eccellente e movimentata “Doing Time” e agli Iron Maiden la melodica cavalcata di “Coming Home”. “Crimson Day” è una power ballad che sottolinea il potenziale pop del gruppo, mentre “Requiem Time” è una rock opera con cori in latino che ha reminiscenze Hollywood Metal di casa Rhapsody. Dal primissimo ascolto risulterà manifesta la straripante vena epica che sorregge tutte le dieci tracce, tutte ispirate, oscure, infuse di testosterone e capaci di trasportare nell’immaginario vivido e pulsante tratteggiato dalle liriche. “Hail To The King” rappresenta per forza di cose anche una prova d’esame per Arin Ilejay, giovane batterista chiamato a sedersi sul seggiolino infuocato che è stato a lungo di The Rev e per poco anche del leggendario Mike Portnoy: a conti fatti, e dopo aver ascoltato più volte il disco, possiamo dire che il ragazzo fa il suo con una prova diritta e potente, in uno stile più che adatto alla nuova vena della formazione; le sue abilità tecniche le ha già dimostrate (e continuerà a farlo) suonando il vecchio materiale dal vivo. Dopo aver raggiunto il successo e aver vissuto il dramma personale, gli Avenged Sevenfold gettano la maschera, forti dell’affetto dei loro fan e consapevoli di non dover dimostrare niente a nessuno, e pubblicano un disco che li rappresenta appieno e che siamo sicuri riuscirà a conquistare anche i più scettici, allargando in maniera ulteriore la base di sostenitori della formazione.

Voto totale? 8/10!
giada

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